Retention
Oggi l’azienda vive di cambiamenti dentro e fuori il suo campo di azione. Investe profumatamente, si certifica, definisce processi di governance e compliance. Difende la vision come fosse l’insieme delle caratteristiche genetiche di una persona, qui giuridica.
Come può mantenere saldo il suo DNA in un mercato mutevole? Cambiando strategie! Ma non basta.
Dall’altra parte, come metà di un puzzle, c’è il lavoratore che avverte disordine aziendale in un mercato in subbuglio. Sente di essere la persona giusta ma al posto sbagliato. Ha quasi la percezione che tutto sia non conforme. Inizia a subire auto-frustrazione, squilibrio, addossa responsabilità, trova capri espiatori generando ripercussioni sul clima e sulle relazioni interne. L’aspetto economico rimane la sua unica leva motivazionale.
Mi chiedo se ha senso trattenere talenti che non si considerano nell’identità valoriale.
L’imprenditore ha il diritto, oltre che il dovere, di non modificare la propria vision aziendale condivisa da coloro che lo supportano.
Il lavoratore dal canto suo ha la facoltà di decidere cosa fare del suo futuro nella consapevolezza che il cambiamento è inevitabile e che non è sempre tutto così incoerente ma è semplicemente una inconsapevole e diversa visione dei valori.
Questa è una politica di retention.